Il significato della resilienza nella corsa a piedi
- Run Ritual
- 19 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Quando parlo con i miei atleti di corsa lunga, mi rendo conto che spesso si tende a sottovalutare l’aspetto più decisivo: la tenuta mentale.In Runritual, non mi limito a costruire tabelle o aumentare i chilometri: mi interessa che ogni atleta sviluppi resilienza mentale reale, utile non solo in gara ma in tutte le uscite in cui la fatica si fa viva.In questo articolo ti spiego, dal mio punto di vista di coach, cosa significa davvero resilienza nella corsa a piedi, e come la alleno in modo strutturato, verificabile e adattabile a ogni profilo.

Definizione operativa di resilienza nella corsa
Per me, la resilienza nella corsa non è “tenere duro” a testa bassa.È saper restare lucidi e funzionali quando emergono fatica, incertezza o crisi temporanee.Lo vedo ogni settimana nei miei atleti: quelli che imparano a leggere il momento e a riformulare le priorità, sono quelli che portano a casa le uscite chiave.Alleno la resilienza come un parametro di lavoro: la inserisco nei cicli, la misuro con l’osservazione e ne parlo apertamente dopo ogni lungo impegnativo.
Utilizzo di obiettivi intermedi per la gestione della fatica
Una delle prime cose che faccio con chi prepara gare di fondo è spezzare mentalmente le uscite lunghe in blocchi.Non dico mai “fai 18 km”: dico “portiamo a casa 3 blocchi da 6 km”.Questo sistema di obiettivi intermedi aiuta a distribuire l’attenzione, ad avere sempre un traguardo vicino e, soprattutto, a ridurre il rischio di cedimenti mentali.È una strategia che applico in ogni lungo oltre i 12 km, e funziona benissimo anche in fase di rientro dopo stop.
Costruzione di un dialogo interno funzionale
Molti runner parlano da soli mentre corrono. Io li aiuto a strutturare quel dialogo.Durante i lunghi, insegno a usare frasi guida specifiche, che ognuno deve testare in allenamento:
“Sono ancora nel controllo”
“So dove sto andando”
“Questa fatica la conosco”Le inserisco direttamente nei compiti mentali della seduta, e le commentiamo insieme nel diario.In questo modo, quel dialogo interno smette di essere casuale e diventa uno strumento operativo.
Visualizzazione anticipata dei momenti critici
Quando so che un atleta ha una seduta lunga impegnativa, gli faccio visualizzare in anticipo il momento più duro, che sia una salita, un tratto in solitudine o una sensazione tipica.Questa fase si fa la sera prima o nel riscaldamento.Serve a pre-attivare la risposta mentale e a ridurre l’impatto emotivo nel momento vero e proprio.Funziona benissimo con atleti ansiosi o con chi tende a mollare quando cambia la percezione dello sforzo.
Stimolazione sensoriale: musica o ascolto interno?
Non impongo mai una regola fissa su musica o silenzio.Valuto con l’atleta l’obiettivo della seduta:
Se voglio stimolare, consiglio una playlist tecnica, con cadenza e atmosfera coerenti
Se voglio allenare centratura e ascolto interno, propongo silenzio o stimoli naturali (respiro, passi, rumori esterni)Spesso, nei cicli lunghi, inserisco entrambe le opzioni in giornate alternate, proprio per allenare anche la flessibilità attentiva.
Recupero esperienziale: attingere a memoria positiva
Quando un atleta va in difficoltà durante un lungo, gli faccio richiamare alla mente un’uscita andata bene, in condizioni simili.Lo guidiamo insieme: “Cosa avevi fatto quel giorno? Come hai reagito?”.Richiamare esperienze positive riduce il carico emotivo negativo e ricentra il cervello sulla capacità di agire.È uno dei metodi più rapidi ed efficaci che uso per rompere un blocco mentale in seduta.
Ottimizzazione del flusso attentivo durante il lungo
La cosiddetta “connessione piena” con il gesto (quello che molti chiamano stato di flusso), io la costruisco con piccoli accorgimenti strutturati.Durante i lunghi:
Insegno a mantenere cadenza costante (sempre tra 170–180)
Faccio lavorare sulla simmetria tra lato destro e sinistro
Chiedo attenzione solo su 2-3 parametri chiave: respiro, appoggio, tono muscolare
La mente si ancora all’azione. Quando succede, tutto inizia a fluire. È lì che nasce la resilienza autentica.
Resistenza mentale attraverso la ripetizione di routine
Molti pensano che la resilienza si alleni solo nelle giornate difficili. Io la costruisco attraverso la costanza della routine.Ogni volta che un atleta porta a termine una seduta “normale” anche se non ne ha voglia, sta registrando una prova di affidabilità interna.Nel mio metodo, le sedute brevi del martedì e giovedì, se fatte con precisione e intenzione, valgono quanto un lungo domenicale.La resilienza non si improvvisa: si sedimenta.
Scrittura post-esercizio
Molti dei miei atleti hano una sezione di "diario", da compilare dopo i lunghi.Non si tratta solo di segnare chilometri e ritmo.Chiedo di rispondere a 3 domande:
Quando ho iniziato a sentire fatica?
Che strategia ho usato per gestirla?
In cosa mi sono sentito efficace?Questo journaling serve sia a me per valutare, sia all’atleta per interiorizzare il progresso mentale.
Recupero psicologico dopo una seduta fallita
Capita spesso: un lungo va male, si interrompe, il runner si sente frustrato.In questi casi, il protocollo che applico è semplice ma efficace:
Giorno dopo: camminata attiva + mobilità articolare
Dopo 48h: corsa libera senza orologio, senza obiettivi, solo per riconnettersi al gesto
Revisione in diario: cosa non ha funzionato? Era evitabile? Come mi sono sentito?
Questo processo di reset è parte integrante della programmazione. Non lo vedo come un incidente, ma come una lezione in tempo reale.
Per me, il significato della resilienza nella corsa a piedi è molto chiaro:è la capacità di allenare la mente tanto quanto il corpo.In Runritual, ogni ciclo di allenamento include strumenti specifici per farlo.La corsa non è solo performance: è metodo, ascolto, relazione tra atto motorio e risposta cognitiva.E la resilienza non si racconta. Si costruisce, un passo alla volta.
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