Metodo norvegese a basso volume: guida completa per il runner evoluto
- Run Ritual

- 8 ago
- Tempo di lettura: 3 min
Perché il metodo norvegese nella corsa sta conquistando i runner evoluti
Negli ultimi anni il cosiddetto metodo norvegese di corsa è uscito dalle cerchie ristrette dei professionisti per arrivare all’attenzione di molti runner evoluti. L’interesse nasce dai risultati di atleti di élite che, pur non macinando volumi estremi, ottengono prestazioni di livello mondiale grazie a un approccio calibrato sulla gestione delle intensità.In Italia se ne parla ancora poco e spesso si confonde con un generico allenamento “a basso chilometraggio”, quando in realtà la struttura è precisa, scientifica e costruita per massimizzare la resa senza distruggere il corpo con chilometri inutili. L’obiettivo di questa guida è chiarire cos’è realmente, come adattarlo al contesto di un runner evoluto e quali accorgimenti servono per renderlo sicuro ed efficace.

Origini e principi del metodo norvegese nella corsa
Il metodo nasce in Norvegia negli anni ’90, grazie a coach che uniscono la tradizione fondista alle più recenti conoscenze di fisiologia dell’esercizio.La logica di fondo è lavorare in zona soglia aerobica o poco sopra, suddividendo il carico in più sedute brevi e mirate. L’intensità è sempre monitorata, nei contesti professionali con test del lattato, ma per l’amatore avanzato è sufficiente un’analisi precisa della frequenza cardiaca e della percezione dello sforzo.
L’obiettivo è stimolare adattamenti specifici nella potenza aerobica e nella gestione del lattato, evitando il logorio tecnico e muscolare che arriva nelle sedute lunghissime.
Metodo norvegese vs modello tradizionale ad alto chilometraggio
Il metodo tradizionale punta su grandi volumi settimanali, lunghi lenti e poche sedute di qualità.Il metodo norvegese a basso volume inverte la logica: meno chilometri totali (80–100 km per un evoluto), ma più tempo passato a intensità realmente allenanti. Si riduce la corsa “inutile” e si aumenta la frequenza di stimoli specifici, mantenendo la tecnica di corsa pulita grazie a sedute più brevi e meno usuranti.
Aspetto | Metodo Norvegese | Modello Tradizionale |
Volume settimanale | 80–100 km | 120–160 km |
Frequenza qualità | Alta | Media |
Recupero tra sedute | 6–8 ore (doppie) | 24–48 ore |
Lavoro tecnico | Sempre curato | Spesso trascurato |
Rischio infortuni da logorio | Basso | Alto nel lungo termine |
Struttura tipica di una settimana nel metodo norvegese
Una settimana tipo per un runner evoluto prevede due o tre giorni di doppia seduta, entrambe in zona soglia o appena sotto. Gli altri giorni includono corsa facile, potenziamento e tecnica. Chi prepara gare fino ai 10 km inserisce anche stimoli di velocità pura.La logica è mantenere il metabolismo aerobico costantemente sollecitato, senza i picchi di fatica estrema tipici di certi approcci tradizionali.
Vantaggi del metodo norvegese per il runner evoluto
Lavorare frequentemente in zona soglia migliora la capacità di utilizzare ossigeno, ritarda l’accumulo di lattato e sviluppa una resistenza specifica di gara superiore.Il frazionamento delle sedute riduce il decadimento della postura e dell’appoggio, migliorando l’efficienza meccanica e riducendo il rischio di infortuni da usura.
Criticità e rischi se applicato male
Il volume ridotto non significa “allenamento facile”: la densità di lavoro è alta e può portare a overreaching se non si gestiscono bene recupero e alimentazione.Le doppie sedute richiedono un intervallo di 6–8 ore, con reintegro nutrizionale immediato e, idealmente, un breve riposo pomeridiano.
Adattare il metodo norvegese alla realtà italiana
Non tutti possono correre due volte al giorno. L’adattamento più efficace per un amatore evoluto prevede una sola doppia seduta settimanale e la distribuzione degli altri lavori di soglia su più giorni singoli.Chi prepara maratone o mezze maratone può inserire un lungo controllato ogni 10–14 giorni per preservare la resistenza specifica.
Parametri di controllo: frequenza cardiaca e RPE
Senza test del lattato, la zona di lavoro ottimale è 85–90% della FCmax, con un RPE di 7–8/10.Il ritmo deve essere sostenuto ma non massimale: se non riesci a mantenerlo per 30–40 minuti in modo costante, sei andato oltre la soglia utile.
Esempio di microciclo adattato per un runner evoluto
Giorno | Tipo di seduta | Dettagli |
1 | Soglia continua | 8–10 km a FC 85–90% |
2 | Recupero attivo | 40’ corsa lenta FC 65–70% |
3 | Doppia seduta | AM: 6–8 km soglia / PM: 6 km facili |
4 | Potenziamento + tecnica | Core, balzi, skip, mobilità |
5 | Richiamo di soglia variata | Blocchi 3–5’ sopra/sotto soglia |
6 | Lungo medio | 14–16 km a FC 75–80% |
7 | Riposo o attività rigenerante | Camminata, stretching |
Confronto con altri approcci moderni
Rispetto al volume alto, il metodo norvegese ottimizza il rapporto stimolo/recupero. Rispetto a metodi basati su intervalli massimali, è più sostenibile a lungo e mantiene alta la frequenza di stimolo.
Conclusione
Il metodo norvegese a basso volume è una strategia di precisione, non una scorciatoia. Richiede disciplina, monitoraggio e adattamento alle proprie possibilità. Per il runner evoluto che vuole massimizzare la resa con tempo limitato, è una scelta vincente.




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